Coltivazione salina

La salina è un’attività stagionale nel mese di marzo cominciano i primi lavori, consistenti nella pulitura a rotazione delle vasche servitrici o caure, lavori effettuati ogni 20-30 anni. Il gesso depositatosi sul fondo di queste vasche viene raccolto in cumuli, che prendono il nome di pisciteddi di mamma caura, la cui asportazione dalle vasche si rende necessaria in quanto il crescente spessore, finisce con il riempire le vasche, diminuendo così il volume dell’acqua contenuta. Concluso il lavoro straordinario, si procede alla pulitura delle vasche salanti o caseddi, che deve essere effet­tuata prima dell’inizio della cristallizzazione del cloruro di sodio, cioè nel mese di maggio, la puli­zia viene effettuata con rastrelli, operazione detta tirari a piaia, che consiste nel rimuovere dal fondo delle vasche salanti il fango che si è accumulato durante il periodo in cui la sa­lina e rimasta improduttiva. Ultimata la pulitura e lasciate asciugare le vasche salanti sulle quali è stato passato un rullo  per livellarne il fondo, esse vengono riempite con acqua di mare. Si immette uno strato di 4 o 5 centimetri di acqua sollevando il purteddu; perchè l’acqua vada a saturazione occorrono circa 10 giorni, dopo di che si passa ad alimentare le vasche con acqua fatta che ha raggiunto cioe i 23-24 gradi Baumè. L’acqua satura viene preparata nelle vasche servi­trici dove raggiunge i 26 gradi Baumè Nel­le vasche servitrici, che devono alimentare le va­sche salanti, l’acqua satura deve essere in quantità sufficiente per evitare che venga a mancare proprio durante il processo di alimentazione. Questo consi­ste nel mandare uno strato di 3 o 4 centimetri di acqua satura nelle caseddi, acqua che evaporera nei 2, 3, 4 giorni successivi, l’operazione viene ripetuta ogni tre o quattro giorni e passati 50 giorni  a metà luglio circa, tutto è pronto per la prima raccolta di sale. Dopo aver tolto l’acqua satura ancora presente nelle caselle, con una vite di Archimede di dimensioni inferiori rispetto a quella collegata all’ingranaggio del mulino, chiamata spiri­cedda, un tempo azionata a mano, mentre oggi si usano pompe elettriche, si passa alla rottura della super­ficie del sale ormai cristallizzato. E’ chiama­to palu pi rumpiri lo strumento impiegato durante questa operazione.

  

Il palu pi rampiri viene usa­to circa quaranta giorni prima del raccolto per rom­pere il sale che, alla superficie, ha uno strato molto duro. L’operazione viene realizzata con movimenti rotatori, in maniera tale da prepa­rare la fase successiva dei lavori consistente nel­l’ammunziddari la casedda. Ciò avviene dopo che si è messa la casedda in curria, cioè  dopo che è stata praticata all’interno della vasca una canalizzazione principale, detta spiatura, in cui si raccoglie l’acqua che sgocciola dal sale. Paluneddu viene detta la pala speciale con i bordi ricurvi al’insù.

Dalla spiatura l’acqua viene aspirata con la spiriceddira azionata a mano. L’operazionc viene detta assummari u vasu. Una volta raccolto in cumuli (mun­zeddi), il sale, per mezzo di una pala, detta palu di inchiri, o di carricatu, viene messo nella carriola e quindi ammucchiato (ammunziddatu).

Il gruppo di operai che trasportano le carriole di sale prende il nome di venna ed è composto da 14- 15 uomini che si alternano ogni 20 salme. In passato il sale, durante la fase della raccolta, ve­niva trasportato a spalla, nelle carteddi di fibra ve­getate, sostituite in seguito da quelle di lamierino zincato. L’operaio di venna, durante questa lase di lavoro, faceva uso di un cuscino riempito di paglia, che sorretto da una fascia posta intorno alla fronte, scivolando sulla spalla, impediva a quest’ultima il contatto diretto con la cartedda di sale. Il peso e il materiale delle carteddi, lasciavano traccia non indifferente sulla spalla degli operai.

II controllo della quantità di sale raccolto era un’ope­razione affidata ad un operaio di fiducia del pro­prietario, detto signaturi. Per far ciò, veniva impiega­to uno strumento detto tagghia. Lo strumento consiste in un’a­sticella a forma di parallelepipedo, dove è tenuto il conteggio delle salme e delle decine (di salme). Ventiquattro ceste o dodici car­riole costituiscono una salma di sale.

Al primo raccolto segue, a distanza di 25 giorni, un secondo raccolto con una resa quantitativa rispetto alla prima della metà, e ancora un terzo, con una resa pari alla metà del secondo, il ciclo di lavoro così iniziato in primavera si conclude alla fine del mese di settembre. Il sale raccolto dalle vasche viene accumulato sull’ariuni, dove ancora oggi i cumuli vengono ricoperti con le  tegole di terracotta dette ciaramiri, al fine di proteggerli dalle intemperie.

 

Una volta finita la produzione del sale all’arrivo della stagione autun­nale, i salinai sollevano tutti i purteddri delle va­sche per consentire così la comunicazione degli in­vasi tra loro.

A mezzi diversi di locomozione, nel corso del tem­po, è stato affidato il trasporto del sale, mentre per via terrestre era affidato ai carretti e in tempi più recenti ai ca­mion, per via fluviale il sale veniva caricato su barche di due tipi: gli schifazzi, barche a vela ad un solo albero, capaci di un carico di circa 50 saline, manovrate da un solo uomo, e le muciari, barconi di portata alquanto inferiore e senza ponte, che na­vigano a rimorchio con l’aiuto di pali puntati contro il fondo dei vari canali.

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